Guida per Dominanti consapevoli
Introduzione – Essere Dominanti non significa essere perfetti

Nel BDSM, la Dominazione è prima di tutto una forma di relazione. Una relazione consensuale, strutturata attorno allo scambio di potere, in cui i ruoli vengono scelti e negoziati, non imposti.
Essere Dominanti, in questo contesto, non è un esercizio di forza cieca o autorità arbitraria, ma una scelta identitaria profonda. Un modo di abitare se stessi, con coerenza e responsabilità.
Quando qualcuno si riconosce come sottomesso e decide di affidarsi a noi, eleggendoci come propri Dominanti, accade qualcosa di potente. Quell’affidamento non è solo erotico, è simbolico. E in quella scelta troviamo spesso un senso di pienezza, di valore, a volte persino di appartenenza.
Ma dominare qualcuno significa anche assumersi un compito: esercitare un’influenza sulla sua esperienza, guidarlo, fare scelte che ne modellano il vissuto. Significa, in altre parole, avere un impatto reale sulla vita di un’altra persona.
Lo so bene: l’immaginario dominante è costellato di figure carismatiche, lucide, sempre in controllo. Uomini e donne dal portamento austero, dalla voce ferma, dallo sguardo che non trema. Eppure, dietro quell’immagine idealizzata si nascondono trappole insidiose che — prima o poi — ogni Dominante si trova ad affrontare.
Spesso dominare diventa un’armatura: protegge, ma isola.
A volte ci imprigiona in un ruolo performativo che toglie spazio al dubbio, al confronto, all’umanità.
E nei casi peggiori può trasformarsi in una maschera di potere che confonde il nostro valore con la nostra capacità di controllo.
In questo articolo voglio affrontare con sincerità alcune di queste trappole.
Non per sminuire il ruolo dominante — al contrario — ma per restituirgli la sua complessità, la sua verità. Perché sì, anche chi domina può essere fragile. Può avere paura, può sbagliare, può sentirsi perso. E ignorare queste parti di sé rende solo più pericoloso esercitare potere sugli altri.
Spero che queste riflessioni siano utili a chi è già in cammino e a chi si avvicina ora alla Dominazione. Non sono regole assolute, ma strumenti per guardarsi dentro, con onestà.
Perché solo da lì — da uno sguardo vigile e consapevole su sé stessi — può nascere un Dominio saldo, etico e vitale.
L’illusione dell’onniscienza
Una delle trappole più comuni in cui un Dominante può cadere è l’idea — propria o altrui — di dover essere sempre onnisciente.
Ci si aspetta che un Dom sappia sempre cosa sta facendo, che abbia tutto sotto controllo, che non sbagli mai. E se questa aspettativa non viene esplicitata, spesso aleggia comunque: nel modo in cui ci si rivolgono, nei titoli che usano per nominarci, nello sguardo con cui ci osservano mentre decidiamo.
Ma lasciatemi dirlo chiaramente: non esiste Dominante infallibile.
Siamo esseri umani. Emozionati, stanchi, attraversati da dubbi. Viviamo le relazioni giorno per giorno, proprio come chi si sottomette a noi. La dominazione non è un esercizio di perfezione, ma un processo continuo di presenza, ascolto e apprendimento.
Sbagliare non è solo inevitabile: è necessario. È attraverso l’errore che impariamo a leggere meglio la persona che abbiamo davanti, e spesso anche noi stessi.
Il problema nasce quando quell’immagine di infallibilità diventa una gabbia. Quando l’ego prende il sopravvento.
Essere chiamati “Signore” o “Padrona” accende in noi qualcosa di potente. Il desiderio, il riconoscimento, il senso di essere finalmente al nostro posto. Ma se ci lasciamo trascinare da quella gratificazione, rischiamo di perdere lucidità.
Il rischio è trasformare l’ego in timone, e il potere in arroganza.
E l’arroganza è veleno per qualsiasi relazione D/s.
Quando l’ego domina la scena, si smette di ascoltare. Si cominciano a dare per scontati i limiti, si interpretano i segnali senza verificarli, si assume che l’altro seguirà — sempre e comunque — la strada che tracciamo.
Ma la sottomissione non è una concessione eterna. È un dono che si rinnova ogni giorno, e che va meritato.
Un Dominante consapevole non ha paura di dire “non lo so”.
Non si nasconde dietro l’autorità. Non ha bisogno di avere ragione per avere valore. E soprattutto, è capace di riconoscere quando ha sbagliato e di trasformare quell’errore in strumento di connessione.
Perché dominare, per me, significa prima di tutto guidare con integrità — e l’integrità non è l’assenza di sbagli, ma il modo in cui li attraversiamo.

Il rischio del custode
Tra le trappole più subdole per chi domina con il cuore e non solo con la testa, c’è quella che chiamo la “trappola del custode”.
Succede quando iniziamo a voler così tanto bene al nostro sottomesso — o a provare per lui una cura così intensa — da trasformare quella cura in controllo.
Intendiamoci: prendersi cura del proprio sottomesso è parte integrante del ruolo dominante. Ma, come in tutte le cose, è una questione di equilibrio.
Quando ti concentri solo sui suoi bisogni, dimenticando i tuoi, il ruolo dominante rischia di diventare un recinto. Un’identità rigida, paternalistica, carica di ansia e doveri.
E più cerchi di essere perfetto per lui, più perdi la possibilità di essere te stesso.
Non sei una macchina. Anche tu hai bisogno di spazi di decompressione, di ascolto, di supporto.
Se non ti nutri, non puoi nutrire nessun altro.
Il problema, però, non riguarda solo te.
Un eccesso di premura può avere effetti paradossali sul sottomesso stesso.
Quando controlli costantemente il suo stato emotivo, quando cerchi di evitargli ogni errore o sofferenza, rischi di togliergli la possibilità di evolversi. Di scegliere. Di sbagliare — anche di cadere, quando serve.
Così facendo, invece di sostenerlo nel suo percorso, lo deresponsabilizzi.
E finisci per stringere le corde anche dove non ce n’era bisogno.
Il rischio a lungo termine è il burnout. Quel tipo di esaurimento profondo in cui ti accorgi che ogni tua azione è diventata reattiva, meccanica, scollegata dal piacere.
Non c’è più spazio per il gioco, per l’erotismo, per la scoperta. Solo dovere, gestione, vigilanza.
Dominare non significa proteggere a ogni costo.
Significa anche lasciare che l’altro viva la sua esperienza, che sbagli sotto il tuo sguardo, che cada sapendo che ci sei — ma senza impedirgli di mettersi alla prova.
Significa fidarsi della sua capacità di essere un soggetto attivo nel proprio cammino, e non un oggetto da difendere a ogni costo.
Dare spazio non vuol dire abbandonare.
Vuol dire riconoscere che, come Dominanti, non siamo lì per annullare il rischio, ma per accompagnare la persona che ha scelto di fidarsi di noi, anche attraverso le sue fragilità.
Non tutto è “dramma”: imparare l’ascolto emotivo
Se da una parte alcuni Dominanti cadono nella trappola del custode, altri si rifugiano nel suo opposto: rifiutano ogni forma di emotività del sottomesso, etichettandola sbrigativamente come “dramma”.
Ma nel contesto D/s, questo è un errore che può costare caro.
Quando una persona si sottomette, non sta solo offrendo il proprio corpo o obbedendo a un protocollo. Sta aprendo un varco emotivo. Sta abbassando le difese, espone parti intime, fragili, disordinate. Sta, in molti casi, entrando in una zona emotiva intensissima in cui si mescolano desiderio, paura, bisogno di approvazione e bisogno di contenimento.
Come Dominante, è tuo compito monitorare anche questo spazio.
Non per diventare terapeuta o salvatore, ma per restare presente.
Per ascoltare davvero, anche quando quello che senti ti mette a disagio.
Anche quando ti sembra eccessivo, incoerente, fastidioso.
È facile restare saldi quando il sottomesso è eccitato, devoto, grato. Ma dominare significa esserci anche quando si lamenta, quando si confonde, quando cade in crisi o in ansia.
E sì, anche quando ti dice che va tutto bene ma tu sai che non è vero.
Alcuni sottomessi si ribellano, altri si chiudono, altri ancora esprimono la fatica con le lacrime o il silenzio. Ognuno ha il suo modo.
Ma se ti aspetti una sottomissione sempre lineare, perfettamente controllata, ordinata… allora stai cercando una fantasia, non una relazione.
Etichettare tutto come dramma ti protegge, certo. Ti solleva dalla fatica di doverci entrare, di dover affrontare quel groviglio.
Ma così facendo, stai rinunciando a dominare davvero.
Perché il dominio non si esercita solo con i comandi, i gesti, i rituali. Si esercita anche nel contenere l’altro quando è fragile. Nell’accettare che la relazione D/s è un viaggio chimico, emotivo, neurologico.
E che il sub-drop, le crisi, i momenti di insicurezza non sono errori del sistema: sono il sistema.
Imparare ad ascoltare attivamente significa saper distinguere tra un capriccio e una ferita.
Significa accogliere il malessere, non subirlo.
E, quando necessario, mettere confini senza negare il sentire.
Per me, un Dominante maturo è qualcuno che sa non reagire subito. Che respira, osserva, ascolta, e poi risponde.
Anche quando è difficile. Soprattutto quando è difficile.
La coerenza come strumento di potere reale
Nel ruolo dominante, il desiderio di espandere il controllo può essere potente.
Si vuole andare più a fondo, aggiungere intensità, aumentare il carico, testare i limiti. È naturale. Fa parte del gioco, ed è spesso una delle forze vitali che tengono viva la relazione D/s.
Ma questa spinta può facilmente sfociare in incoerenza.
E quando accade, il danno è sottile ma profondo.
Immagina di addestrare un sottomesso per settimane, mesi, magari anni, costruendo un certo tipo di protocollo, un certo assetto di ruoli — e poi, da un giorno all’altro, cambi direzione senza preavviso.
Il problema non è il cambiamento in sé.
Il problema è cosa succede quando il cambiamento non è comunicato, non è negoziato, non è elaborato insieme.
Perché quando la coerenza viene meno, anche la sicurezza emotiva del sottomesso si incrina.
Se oggi gli dici che la sua funzione è quella di cane, e domani la tratti come se fosse una persona qualunque, senza un contesto, senza una transizione, non stai giocando: stai spostando l’identità dell’altro senza rispettare il radicamento.
Alcuni sottomessi riescono a vivere il gioco come una messa in scena flessibile, altri invece si immergono profondamente nel proprio ruolo. Per loro, la coerenza è realtà. È ciò che permette alla dinamica di esistere.
Per questo motivo, la coerenza non è una gabbia.
È una cornice. Un punto di riferimento che permette a entrambi di sapere dove ci si trova, cosa si sta vivendo, su quale terreno si sta camminando.
Cambiare rotta è lecito. Ma richiede cura.
Richiede di chiedere al sottomesso se si sente ancora al suo posto, se riesce ancora a riconoscersi nella relazione.
E soprattutto richiede tempo. Perché la coerenza non si misura solo nei gesti rituali, ma nella possibilità per l’altro di continuare a sentirsi se stesso mentre si evolve nella relazione.
Dominare con coerenza significa essere affidabili, anche quando il contesto cambia.
Significa che il tuo sottomesso può fidarsi non solo del tuo desiderio, ma anche della tua direzione.
E se quella direzione cambia, allora sarai tu ad accompagnarlo nel passaggio, non a lasciarlo indietro.

Il sottomesso dimenticato: la morte del desiderio
Può sembrare assurdo, ma succede più spesso di quanto si pensi: Dominanti che, dopo aver accolto un sottomesso, si dimenticano di usarlo.
Non perché non provino più piacere. Non perché la relazione sia finita. Ma perché, presi da altro, o semplicemente adagiati nell’abitudine, smettono di dare forma e direzione alla dinamica.
Il paradosso è che chi si sottomette lo fa — almeno in parte — per essere usato.
Non in senso degradante, ma nel senso profondo del termine: essere messo al servizio, essere strumento, avere una funzione.
E quando questa funzione viene ignorata, quando non viene attivata, alimentata, valorizzata… il sottomesso si spegne.
Un sottomesso dimenticato non diventa neutro.
Diventa vuoto.
Inizia a sentirsi inutile, invisibile, non desiderato. E per un sottomesso, la perdita di senso è una delle esperienze più dolorose.
Perché la sua identità relazionale, il suo piacere, la sua centratura, ruotano intorno alla tua attenzione, alla tua intenzione, alla tua capacità di guidarlo e di trarre godimento da lui.
Un Dominante può pensare: “Lo userò quando mi andrà, quando avrò ispirazione”. Ma la dominazione non è un interruttore che si accende solo quando hai voglia.
Non stai gestendo un oggetto inanimato. Stai tenendo in vita un legame.
E quel legame richiede azione, presenza, decisione. Anche minima, ma regolare.
Dominare significa mantenere attivo lo spazio simbolico in cui il sottomesso si realizza.
Può essere un ordine, una parola, una punizione, un gesto, un attenzione. Non serve grande teatralità. Serve coerenza e continuità.
Perché ogni volta che rimandi, ogni volta che ti disconnetti, stai spegnendo lentamente il suo fuoco.
E quando quel fuoco si spegne, riportarlo in vita è un’impresa.
Un sottomesso ferito può restare, certo. Può mostrarsi fedele. Ma dentro, inizierà a costruire barriere. A proteggersi da te. A difendersi da ciò che non arriva più.
E tu, Dominante, finirai per perdere ciò che avevi: un essere umano disposto a offrirsi, che ora non si sente più scelto.
Se senti che qualcosa si è spento, guarda prima di tutto dentro di te.
Chiediti se sei ancora vivo in quella relazione, se stai ancora generando desiderio.
E se non lo sei più, abbi il coraggio di chiederti perché.
Perché per un sottomesso, essere dimenticato è peggio che essere punito.
È la sensazione di essere stato messo in un angolo, lasciato lì, non più parte della scena.
L’effetto yo-yo
Una delle dinamiche più destabilizzanti all’interno di una relazione D/s è quella che chiamo effetto yo-yo: il Dominante che si ritira e torna ciclicamente, secondo il proprio umore o interesse del momento.
A prima vista può sembrare solo una questione di instabilità emotiva o confusione.
Ma in realtà si tratta di una profonda incoerenza con il ruolo che si è scelto di assumere.
Essere Dominanti non significa esercitare potere solo quando conviene.
Significa assumersi una responsabilità costante, anche nei momenti difficili.
Molti Dominanti si affacciano alla relazione D/s come se fosse uno spazio fluido, quasi equiparabile a una relazione paritaria, dove si può “prendere una pausa”, “chiudere e riaprire”, “allontanarsi e tornare” senza particolari conseguenze.
Ma questo modo di fare è incompatibile con la natura stessa della sottomissione, che implica affidamento, fiducia e contenimento.
Un sottomesso non è un partner intercambiabile.
È qualcuno che ha ceduto parte del proprio potere a te.
Che ti ha consegnato la propria disponibilità, i propri desideri, e spesso anche la propria fragilità.
Ogni volta che scompari senza spiegazioni, senza aftercare, senza guida, lasci una crepa.
E ogni ritorno non cancella quella crepa: la moltiplica.
Sì, ci sono sottomessi che tornano. Anche più di una volta.
Ma ogni ritorno è meno libero, meno aperto, meno profondo.
Ogni ritorno è più protetto, più trattenuto, più disilluso.
E a un certo punto, anche se sono ancora lì, non ti appartengono più.
Dominare non vuol dire rimanere intrappolati in una relazione che non funziona.
Ma vuol dire assumersi la responsabilità di come si esce da quella relazione.
Vuol dire che se decidi di interrompere, lo fai con chiarezza, con cura, con onestà.
E soprattutto, che non torni solo quando ti senti di nuovo appagato, senza affrontare ciò che è rimasto in sospeso.
L’effetto yo-yo distrugge il senso di stabilità del sottomesso.
Gli insegna a non fidarsi più.
E soprattutto, mina il tuo potere reale: perché il potere si fonda sulla fiducia. E quando rompi quella fiducia, non basta volerla indietro per riaverla.
Chi domina appartiene prima di tutto a se stesso.
E proprio per questo deve essere coerente con le scelte che fa.
Altrimenti, quello che chiami Dominazione è solo comodità emotiva mascherata da ruolo.
Far vergognare il proprio sottomesso
Nel cammino di una relazione D/s, c’è un momento inevitabile: quello in cui la fantasia lascia spazio alla realtà.
Accade quando il velo dell’immaginazione si solleva, e iniziamo a vedere l’altro per com’è davvero — nella sua interezza, con tutte le sfumature che non avevamo previsto.
Succede a tutti. All’inizio, ogni partner sembra perfetto: obbediente al punto giusto, fragile dove ci piace, devoto secondo le nostre proiezioni.
Ma nessuno può restare a lungo dentro un ideale. E prima o poi emergono aspetti che non ci aspettavamo: insicurezze, meccanismi difensivi, desideri che cozzano con i nostri, o semplicemente lati della personalità che non avevamo considerato.
Ed è proprio lì, in quel momento, che molti Dominanti commettono un errore pericoloso: trasformano la delusione in colpa.
Invece di accettare la complessità dell’altro, iniziano a giudicarla.
E quando si giudica profondamente chi si sottomette a noi, si finisce spesso — magari senza volerlo — per farlo vergognare della propria natura.
Vergogna non significa solo umiliazione esplicita.
Può insinuarsi in piccoli gesti, in frasi dette a metà, in sguardi che condannano.
Può emergere quando ridicolizzi un suo bisogno che non comprendi, quando disapprovi un aspetto della sua personalità, quando gli fai credere che qualcosa in lui sia “troppo”, “fuori luogo”, “sbagliato”.
E se accade, il sottomesso non si sente più accolto. Si sente tollerato.
E da lì in poi, comincia a nascondersi.
Quando un sottomesso si vergogna di se stesso davanti al proprio Dominante, qualcosa si spezza.
Non subito. Non in modo teatrale. Ma lentamente, in profondità.
Si spegne la fiducia. Si spegne la spontaneità. Si spegne il desiderio.
Se ti accorgi che stai iniziando a voler cambiare il tuo sottomesso alla radice, chiediti prima di tutto se lo hai mai davvero accettato.
Non siamo tenuti a legare con chiunque. Se un’identità non è compatibile con la tua, è legittimo prendere le distanze.
Ma non è legittimo ferire qualcuno per com’è fatto.
Se ti rendi conto che non riesci più ad apprezzare ciò che il tuo sottomesso è nel profondo, sii onesto. Non provare a riplasmare secondo il tuo ideale.
Lascialo andare, con rispetto, perché possa trovare qualcuno che lo desideri così com’è — con tutte le sue imperfezioni.
Un Dominante maturo sa che la fiducia non si costruisce solo con la guida, ma anche con l’accettazione radicale.
E che se una relazione non funziona, la dignità non si sacrifica mai nel tentativo di forzarla.
Abusare della lealtà del sottomesso
Una delle forme più gravi — e meno visibili — di abuso in una relazione D/s è quella che si consuma quando il Dominante approfitta della lealtà del proprio sottomesso.
Chi si sottomette davvero, lo fa con una forma di fiducia quasi radicale.
Offre il proprio corpo, la propria vulnerabilità, e spesso anche la propria capacità di scelta. E più il legame cresce, più quella fiducia si radica, si fa profonda, si intreccia con la struttura stessa della persona.
In questa dinamica, può accadere una cosa sottile e pericolosa: il sottomesso smette di dire no.
Non perché non vorrebbe. Ma perché ha così tanto bisogno di appartenere, di essere scelto, di essere utile, da perdere la capacità di mettere limiti.
Inizia a giustificare tutto. A sacrificare il proprio benessere in nome della devozione. A negare i segnali di malessere pur di restare al proprio posto.
E in questa vulnerabilità, alcuni Dominanti cadono in tentazione.
Continuano a trattenere quella persona nella relazione anche quando non possono più offrire contenimento, cura, direzione.
La usano solo quando fa comodo. Scompaiono e riappaiono. Alimentano la speranza senza mai prendersi davvero la responsabilità di ciò che stanno costruendo — o distruggendo.
A volte accade per egoismo. Altre per paura. Altre ancora per semplice pigrizia emotiva.
Ma qualunque sia la ragione, il risultato è lo stesso: un sottomesso che non riesce più a distinguere tra fedeltà e dipendenza.
Quando ti accorgi che qualcuno per te “farebbe qualsiasi cosa”, hai due strade.
Puoi approfittarne — o puoi prenderti cura della sua umanità.
E se sai di non poter più essere il suo Dominante, se il legame ti pesa, ti esaspera, ti confonde… allora non tenerlo in standby.
Non continuare a toccarlo a distanza, a richiamarlo quando ti senti solo, a spegnere e riaccendere il suo desiderio come fosse un interruttore.
Prendi una posizione chiara.
Chiudi, se devi chiudere — ma fallo in modo netto, onesto, compassionevole.
Dagli il tempo e lo spazio per elaborare la perdita.
Accompagnalo, se puoi, nel passaggio. Offrirgli un aftercare vero, anche nel distacco.
E poi lascialo libero. Libero davvero. Non solo tecnicamente, ma anche emotivamente.
Abusare della lealtà di un sottomesso è un tradimento profondo.
Perché non ferisce solo il legame: ferisce l’immagine che quella persona ha di sé.
E spesso rende molto più difficile, se non impossibile, per lui costruire relazioni sane in futuro.
Un Dominante etico non prende tutto ciò che gli viene offerto.
Prende solo ciò che può onorare.
Non dare assistenza quando si chiude una relazione
Molti Dominanti sanno bene quanto sia importante aftercare dopo una sessione intensa.
Ma quando si chiude una relazione D/s, spesso quella stessa cura viene dimenticata.
Come se bastasse dire “è finita” e voltarsi, lasciando il sottomesso a gestire da solo il vuoto che si apre.
Chi si sottomette non consegna solo il proprio corpo: consegna la propria fiducia, il proprio immaginario, la propria vulnerabilità più intima.
Durante una relazione D/s profonda, il Dominante diventa un punto di riferimento assoluto.
Un mondo.
Un perno attorno a cui il sottomesso riorganizza la propria identità relazionale, la propria erotica, a volte persino la quotidianità.
Chiudere un legame di questo tipo senza un passaggio, senza una parola, senza un contenimento, è un atto di violenza simbolica.
Perché lascia il sottomesso non solo con il dolore del distacco, ma anche con la confusione, la vergogna, la sensazione di aver sbagliato tutto — persino di non essere stato mai visto per davvero.
Se devi chiudere, fallo.
Ma fallo con dignità.
Spiega, chiarisci, riconosci ciò che c’è stato.
Non lasciare che il sottomesso pensi che sia “colpa sua”, che ti abbia deluso irrimediabilmente, che non fosse abbastanza.
Sii chiaro: se il percorso è finito, è perché non siete più compatibili, non perché lui è sbagliato.
E non ti illudere: se sparisci, se lasci il vuoto, se non offri nessuna spiegazione, la rottura continuerà a bruciare nel tempo.
Il sottomesso ti porterà dentro come una ferita irrisolta.
E tu, che ti sei assunto il ruolo di guida, avrai abbandonato proprio nel momento in cui essere guida contava di più.
L’aftercare non serve solo a coccolare.
Serve a chiudere in modo sano, a restituire al sottomesso il senso di sé, anche nella perdita.
Perché un buon Dominante non scompare.
Non si ritrae nel silenzio.
Sa che anche la fine è parte del percorso, e la attraversa con la stessa responsabilità con cui ha cominciato.
Se non sei in grado di farlo, chiediti davvero se meriti il potere che ti è stato dato.
Perché la vera prova della Dominazione non è come entri:
è come esci.
Gentilezza non è debolezza
Nel mondo del BDSM, e in particolare nella dinamica D/s, si tende spesso ad associare l’autorità con la durezza.
Come se per essere Dominanti autentici si dovesse sempre mantenere un tono fermo, una postura severa, una distanza emotiva impenetrabile.
Ma questa è un’illusione.
Una delle più diffuse, e anche una delle più tossiche.
La verità è che essere gentili non toglie nulla alla tua forza.
Non rende meno valido il tuo ruolo, non ti sminuisce agli occhi del tuo sottomesso, non compromette il rispetto che ricevi.
Anzi, al contrario: lo fonda su basi più solide.
Dominare non significa urlare, intimidire o punire con crudeltà.
Significa guidare. E una guida non ha bisogno di sopraffare: ha bisogno di essere stabile.
La stabilità non nasce dalla voce alta, ma dalla centratura interiore.
Dal fatto che sei presente, vigile, in ascolto. Che sai cosa stai facendo, e lo fai con intenzione.
Essere empatici non significa lasciarsi dominare.
Mostrare affetto non significa perdere autorità.
Dire “sono qui per te” non indebolisce la scena: la rende più sicura, più profonda, più reale.
Lo dico perché l’ho visto più volte: Dominanti che reprimono ogni emozione per paura di sembrare troppo morbidi.
Che puniscono in modo impersonale, come se dovessero difendere la propria legittimità a colpi di freddezza.
Che evitano i momenti di vulnerabilità reciproca per timore che il sottomesso li veda come “umani”.
Ma essere Dominanti non significa essere macchine.
Significa assumersi una responsabilità su un’altra persona. E per farlo bene, bisogna accettare anche la propria vulnerabilità.
Se hai bisogno di piangere, fallo.
Se hai bisogno di parlare, parlane.
Se qualcosa ti ha toccato, non devi nasconderlo dietro una maschera di controllo assoluto.
La forza non sta nella rigidità.
La forza sta nella capacità di restare al timone anche quando il mare si agita.
Di mantenere il contatto anche quando l’altro trema.
E sì, anche nel saper essere dolci, se è ciò che serve a quel momento, a quella persona, a quella relazione.
Un Dominante sicuro di sé non ha paura di essere gentile.
Ha paura, semmai, di diventare freddo a forza di voler sembrare forte.
La solitudine del Dominante
C’è un aspetto della Dominazione di cui si parla poco, e che molti scoprono solo vivendo: l’isolamento.
Nel mondo BDSM, i sottomessi — fortunatamente — hanno creato nel tempo reti di confronto, gruppi di supporto, spazi sicuri in cui parlare, condividere dubbi, emozioni, domande.
Chi domina, invece, spesso resta solo.
Il ruolo dominante viene associato a forza, competenza, direzione.
E questo, a lungo andare, costruisce attorno al Dominante un’immagine che lo obbliga a non cedere mai. A non mostrare fragilità, incertezze, o stanchezza.
Si deve sempre “sapere cosa si sta facendo”. Sempre guidare, sempre contenere, sempre reggere.
Ma il potere, vissuto in questo modo, può diventare un fardello.
Quando qualcosa non funziona, quando ci si sente persi, quando ci si accorge di aver sbagliato — molti Dominanti scelgono di tacere.
Non si confrontano.
Non chiedono aiuto.
Temono che parlare di sé, delle proprie difficoltà, possa minare la legittimità del loro ruolo.
E così tacciono. E si isolano.
E spesso, finiscono per logorarsi in silenzio.
Io credo che chiedere aiuto sia un atto di responsabilità.
Confrontarsi con altri Dominanti, cercare spazi in cui riflettere sul proprio percorso, esporsi nei propri dubbi — tutto questo non indebolisce la tua autorità.
La rende più vera, più profonda, più viva.
Perché nessuno può essere guida di altri se non è disposto, a sua volta, ad essere in cammino.
E nessuno dovrebbe affrontare il peso del comando da solo.
La solitudine del Dominante non è un destino inevitabile.
È una scelta — o meglio, una non-scelta.
E più si coltiva, più ti scollega dal tuo stesso desiderio, dalla tua capacità di ascolto, dalla tua lucidità.
Se senti che ti stai chiudendo, apriti.
Parla. Scrivi. Confrontati.
Cerca altri che, come te, stanno cercando di dominare con onestà, e non solo con la forma.
Perché essere forti non vuol dire stare zitti.
Vuol dire sapere quando è il momento di tendere la mano. Anche solo per ricordarti che sei umano, prima di essere Dominante.
Dominare è una forma di umanità responsabile
Dominare non è facile.
Non lo è davvero, se lo fai con coscienza.
Richiede tempo, attenzione, lucidità. Richiede energia emotiva, sensibilità, coerenza.
Ma soprattutto, richiede il coraggio di restare umani in un ruolo che, per molti, sembra chiedere l’opposto.
La trappola più grande per chi domina è dimenticare se stesso.
Dimenticare che anche tu hai bisogno di cura, di conforto, di spazi in cui non devi tenere tutto sotto controllo.
Dimenticare che il potere non ti rende invincibile, e che il tuo valore non si misura in quanto riesci a nascondere la tua stanchezza.
Essere Dominanti non significa essere impeccabili.
Significa essere presenti.
Significa sapere che hai in mano qualcosa di prezioso — la fiducia di un altro essere umano — e trattarla con rispetto, lucidità e gratitudine.
Significa che puoi essere forte e fragile allo stesso tempo.
Che puoi guidare senza schiacciare.
Che puoi contenere senza controllare ogni cosa.
Che puoi essere dolce, se serve, senza perdere autorità.
Per me, la Dominazione non è un gioco di perfezione.
È un cammino di consapevolezza, di ascolto, di presenza reale.
È un modo profondo di stare in relazione, con responsabilità e intenzione.
Se ti riconosci in questo percorso, spero che queste parole ti siano servite.
Non come regole da seguire, ma come specchi in cui guardarti.
Perché non c’è una sola via per dominare.
Ma ogni via che scegli deve passare prima di tutto da te.
Guardati dentro.
Chiediti chi vuoi essere.
E se decidi di dominare, fallo con la schiena dritta e il cuore sveglio.
In sintesi – Le trappole della Dominazione
- Non sei onnisciente: un Dominante consapevole non ha tutte le risposte, ma sa imparare da ogni errore e restare in ascolto.
- La cura non è controllo: prendersi cura non significa annullarsi, né impedire al sottomesso di crescere attraverso i suoi errori.
- Ascolta le emozioni: non tutto è “dramma”. Riconoscere e accogliere la fragilità emotiva è parte della responsabilità dominante.
- Evita gli stereotipi: ogni relazione è unica. Copiare modelli standardizzati uccide la connessione autentica.
- Mantieni coerenza: cambiare direzione senza negoziare disorienta il sottomesso e mina la fiducia.
- Non ignorare chi si offre: un sottomesso dimenticato perde senso e motivazione. Il desiderio va nutrito con presenza attiva.
- Fuggi l’effetto yo-yo: entrare e uscire dalla relazione a piacimento destabilizza e compromette il potere reale.
- Non far vergognare: giudicare la natura del sottomesso lo danneggia. Se non puoi accettarlo, abbi il coraggio di lasciarlo andare.
- Non abusare della lealtà: se non puoi offrire cura, chiudi con chiarezza. Usare la devozione altrui è irresponsabile.
- Assisti anche nella fine: la rottura di una relazione D/s richiede un aftercare emotivo. Non sparire, spiega, accompagna.
- La gentilezza non indebolisce: dominare con empatia non ti rende meno autorevole. Ti rende più affidabile.
- Non restare solo: anche chi guida ha bisogno di confronto. Il silenzio non è forza: è un rischio.
Dominare è un atto di responsabilità. Non richiede perfezione, ma presenza. E soprattutto, richiede di non dimenticare mai che prima del ruolo… c’è una persona.
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