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Il Silenzio dello Shibari

Perché parlare di silenzi

Quando si pensa allo Shibari, l’immagine che affiora più spesso è quella di corde, nodi e figure estetiche. Oppure delle parole di negoziazione, dei comandi, dei dialoghi che accompagnano una sessione. Quasi mai si parla dei silenzi. Eppure, sono proprio i silenzi a custodire una parte essenziale di questa arte: lo spazio in cui il corpo si esprime senza voce, in cui il tempo rallenta, in cui la relazione prende respiro.

Il silenzio non è un’assenza, ma una presenza diversa. Non è un vuoto da riempire, ma una cornice che permette alle sensazioni di emergere con più chiarezza. In molte discipline artistiche e spirituali, la pausa è parte della forma: nella musica il silenzio è nota tanto quanto il suono, nel teatro la sospensione è ciò che dà forza alla battuta successiva. Allo stesso modo, nello Shibari, i momenti senza parole, senza gesti, diventano luoghi di ascolto reciproco.

C’è anche un aspetto più pratico: il suono e il silenzio compongono l’ambiente della sessione. Alcuni scelgono la musica come accompagnamento, altri preferiscono la quiete assoluta. In entrambi i casi, il silenzio è parte attiva dell’esperienza, perché orienta la percezione. Un ambiente sonoro curato o, al contrario, il silenzio protettivo di una stanza, influiscono sul modo in cui i corpi si percepiscono e dialogano tra loro.

Per questo vale la pena fermarsi a esplorare i silenzi dello Shibari: non come assenza, ma come linguaggio. Perché è lì, nelle pause e nelle sospensioni, che spesso si rivela la parte più intima della relazione tra chi lega e chi si lascia legare.

Silenzio scelto vs. silenzio imposto: un’etica dell’ascolto

Non tutti i silenzi sono uguali. C’è un silenzio che nasce dalla scelta, e c’è un silenzio che pesa come un’imposizione. Nel primo caso, è uno spazio di presenza: chi lega e chi viene legato decidono di lasciare che siano i corpi a parlare, senza riempire ogni vuoto con parole. È un tacere che non allontana, ma avvicina; che permette di sentire meglio il respiro, la pelle, il ritmo dell’altro.

Il silenzio imposto, invece, è quello che cancella. È quando chi ha più potere non lascia spazio all’altro, non gli permette di esprimersi, o considera l’assenza di parole come consenso. È un silenzio che toglie voce e libertà, e che rischia di mascherare segnali di disagio o rifiuto.

In questo senso, il silenzio va negoziato. Come ricorda il Code of Ethics del Rope Collective, “silence means no”: se non c’è una risposta chiara e attiva, il consenso non può essere dato per scontato. Il silenzio può essere un segnale prezioso, ma non deve mai essere interpretato unilateralmente. Per questo, durante la negoziazione, è utile parlare anche di come gestire il non verbale: cosa significa se non rispondo subito? Come voglio che tu interpreti il mio silenzio?

Coltivare un’etica dell’ascolto significa proprio questo: distinguere tra il silenzio come scelta condivisa e il silenzio come negazione. In uno Shibari sano, il tacere non è mai vuoto di senso, ma parte del linguaggio comune.

Il corpo che parla: respiro, sguardo, micro-tensioni

Se nello Shibari il silenzio è linguaggio, il corpo è la sua voce. Quando le parole si fermano, restano i segnali sottili: il ritmo del respiro, il tremore dei muscoli, la direzione dello sguardo, il modo in cui la pelle si tende o si rilassa sotto la corda. Chi lega e chi si lascia legare comunicano senza dirlo, ma ogni gesto, ogni minima reazione, diventa parte di un dialogo invisibile.

Imparare ad ascoltare il corpo è un’arte che richiede tempo. Non basta osservare se un nodo è stretto o se una posizione è corretta: bisogna sviluppare sensibilità per cogliere le micro-tensioni, i cambiamenti impercettibili che rivelano stati emotivi e fisici. Un respiro che accelera può segnalare eccitazione, ma anche ansia. Una spalla che si irrigidisce può dire più di una parola taciuta. Lo Shibari è fatto di corde, certo, ma soprattutto di attenzione continua.

Molti praticanti descrivono questa esperienza come una forma di “linguaggio silenzioso” dove il corpo diventa testo e il tocco è la penna che lo scrive. In questo linguaggio, le pause e i silenzi non sono assenza, ma spazio in cui il corpo può esprimersi con autenticità. Non c’è bisogno di riempire tutto con parole o azioni: basta osservare, sentire, lasciare che siano i segnali non verbali a guidare il passo successivo.

Allenarsi a riconoscere questi messaggi non significa sostituirsi alla voce dell’altro, ma imparare a leggerla meglio. È un invito a rispettare la complessità del corpo, a riconoscerne i limiti e le potenzialità. Ed è anche un modo per riscoprire la ricchezza del silenzio: quando si smette di parlare, il corpo trova il coraggio di dire molto di più.

“Se i corpi sanno parlare, sono le pause a dare ritmo a questo dialogo.”

La musica delle pause

Ogni legatura ha un ritmo. Non è fatto solo dal gesto delle mani o dal passaggio della corda, ma anche da ciò che accade tra un gesto e l’altro. Le pause non sono momenti morti: sono parte integrante della musica dello Shibari. Come in un brano musicale, il silenzio non è un’interruzione ma una nota invisibile, capace di dare senso e intensità a ciò che viene prima e a ciò che seguirà.

Molti praticanti raccontano che è proprio nella pausa che il legame si fa più forte. Quando la corda smette di muoversi e resta sospesa, quando le mani si fermano per un istante, è lì che il corpo del partner prende coscienza della propria posizione, del proprio respiro, della propria vulnerabilità. È in quel momento che la tensione emotiva cresce e si trasforma.

Il silenzio sonoro ha lo stesso potere. Alcuni scelgono di accompagnare la sessione con musica, altri preferiscono il silenzio assoluto. In entrambi i casi, le pause diventano accenti che danno ritmo alla relazione. Una traccia musicale che si interrompe, un improvviso momento di quiete dopo il fruscio delle corde: tutto contribuisce a creare dinamiche emotive. L’ambiente sonoro, come ricorda chi si occupa di preparazione delle sessioni, non è un dettaglio marginale ma una cornice che amplifica o attenua le sensazioni.

Le pause hanno anche un valore didattico. Permettono a chi lega di osservare, di verificare che il corpo stia rispondendo bene, di correggere la tensione di una corda o la posizione di un arto. E permettono a chi è legato di entrare davvero nell’esperienza, senza essere travolto da una sequenza ininterrotta di stimoli. Fermarsi non significa interrompere: significa dare spazio all’intensità perché possa respirare.

Nello Shibari, le pause non riempiono un vuoto: creano significato. Sono i respiri della corda, i silenzi che trasformano un gesto tecnico in una conversazione profonda.

Esercizi di ascolto

“Prova a legare in silenzio, anche solo con un singolo nodo. Noterai come ogni respiro si amplifica.”

Parlare di silenzi e pause è importante, ma altrettanto importante è allenarsi a viverli. Lo Shibari non è solo un insieme di tecniche: è un’educazione alla presenza, un’arte che si affina con la pratica. Per questo proporre piccoli esercizi può aiutare a rendere concreti i concetti e a trasformarli in esperienza reale.

Un primo esercizio semplice è legare in silenzio. Non significa solo smettere di parlare, ma scegliere consapevolmente di lasciare che siano i corpi a dialogare. Si prepara la corda, si inizia una legatura basilare e ci si concentra esclusivamente sul respiro e sui segnali dell’altro. È sorprendente quanto la mancanza di parole renda più chiari i dettagli: la tensione di un muscolo, il ritmo di un sospiro, il calore della pelle sotto la corda.

Un altro esercizio utile è introdurre pause intenzionali. Tra un nodo e l’altro, tra un gesto e l’altro, ci si ferma per qualche secondo. Non per controllare la tecnica, ma per osservare cosa accade.

1 Come cambia la percezione della corda?

2 Come si trasforma l’attesa nel corpo legato?

3 Come varia l’intensità emotiva del momento?

Le pause diventano così non un’improvvisa interruzione, ma strumenti consapevoli di esplorazione.

Infine, ci si può allenare a restare fermi senza interrompere il contatto. Le mani che smettono di muoversi, ma restano appoggiate sul corpo. La corda che non stringe, ma resta in tensione. Sono momenti in cui nulla accade eppure accade moltissimo: il legame trova profondità, e la relazione si arricchisce di sfumature sottili.

Questi esercizi non hanno lo scopo di creare “buoni silenzi” o “pause perfette”. Servono piuttosto a insegnare che il vuoto non è nemico del gioco, ma parte della sua grammatica. Allenarsi a viverlo è il modo migliore per trasformare la tecnica in dialogo, e il gesto in relazione.

Pause e sicurezza

Le pause nello Shibari non hanno solo un valore estetico o emotivo: sono anche strumenti fondamentali di sicurezza. Ogni legatura, anche la più semplice, mette in gioco il corpo e il suo equilibrio. Fermarsi non è un lusso, ma un modo per proteggere chi è legato e dare al corpo il tempo di adattarsi.

Il sistema nervoso e la circolazione hanno ritmi che non sempre coincidono con la velocità delle nostre mani. Una corda che sembra innocua può diventare scomoda o rischiosa se tirata troppo a lungo senza controllo. Una posizione apparentemente stabile può provocare formicolii o tensioni se mantenuta senza pause. Interrompere il flusso della legatura per qualche secondo permette di verificare che tutto proceda bene: che la respirazione sia regolare, che il colore della pelle non cambi, che la persona legata possa muoversi e comunicare se necessario.

Le pause sono anche un momento prezioso per l’aftercare durante la sessione stessa. Non bisogna aspettare la fine per offrire attenzione e cura. Un tocco gentile, un respiro condiviso, un istante di silenzio in cui ci si guarda negli occhi: sono gesti che riducono l’ansia, rassicurano e rafforzano la fiducia reciproca.

Nello Shibari la sicurezza non è fatta solo di forbici a portata di mano e conoscenze tecniche. È fatta anche di tempi, di spazi, di capacità di ascolto. Le pause, in questo senso, sono cuscini morbidi che sostengono l’esperienza e impediscono che la tensione diventi eccessiva. Fermarsi non toglie intensità al gioco: la amplifica, perché permette di viverlo in modo pieno e consapevole.

Benessere e calma: quando il silenzio sostiene la mente

Lo Shibari non è solo un’esperienza fisica: è anche un viaggio emotivo e mentale. I silenzi e le pause, in questo contesto, diventano strumenti potenti per favorire benessere e calma. Molti praticanti raccontano di provare, dopo una sessione intensa e silenziosa, una sensazione simile a quella della meditazione: il corpo è stanco, ma la mente è leggera, più quieta, a volte persino luminosa.

Non è un caso. Il silenzio, unito al ritmo lento delle corde, crea uno stato che ricorda la trance. L’attenzione si concentra su pochi stimoli: il contatto della corda, il respiro, il battito del cuore. Tutto il resto sfuma, lasciando spazio a una forma di presenza totale. È un’esperienza che può ridurre ansia e tensione, regalando un senso di equilibrio che dura anche dopo la sessione.

Alcuni studi e testimonianze collegano lo Shibari a un miglioramento del benessere psicologico: non tanto per la spettacolarità del gesto, quanto per la qualità dell’ascolto che richiede. Fermarsi, accogliere il silenzio, dare valore alle pause significa imparare a rallentare, in un mondo che chiede sempre di correre. È un modo per restituire dignità al tempo e per scoprire che il piacere non nasce solo dall’azione, ma anche dalla sospensione.

In questo senso, i silenzi dello Shibari non sono un semplice contorno: sono parte integrante del benessere che questa pratica può generare. Una sessione vissuta con pause consapevoli non solo è più sicura, ma lascia anche un’impronta più profonda sulla mente, trasformando il legame in un’esperienza di calma e rigenerazione.

La stanza silenziosa: luce, odori, tatto, tempo

Il silenzio non è fatto solo di assenza di parole o suoni: è anche il risultato di un ambiente che invita alla quiete. La stanza in cui si lega diventa una parte attiva della sessione, quasi un terzo partner silenzioso. Luce, odori, temperatura, superfici: tutto contribuisce a creare uno spazio in cui il silenzio non pesa, ma accoglie.

La luce soffusa, per esempio, aiuta a rallentare il ritmo. Non serve l’oscurità totale, ma un’illuminazione che accompagni, che non distragga. Le ombre morbide permettono di concentrarsi sul corpo e sulle corde, senza l’invadenza di lampade troppo forti.

Gli odori hanno lo stesso potere: una candela profumata, un incenso leggero, persino l’odore del legno o della corda naturale possono diventare elementi che radicano l’esperienza e rafforzano la percezione sensoriale. Anche il tatto contribuisce: superfici morbide sotto il corpo, tessuti che accolgono, piccoli dettagli che trasformano il contesto in un rifugio.

Il tempo è forse l’elemento più importante. Una stanza silenziosa non è tale se fuori ci sono pressioni, scadenze, interruzioni. Darsi il tempo di vivere la sessione senza fretta è parte del rito: un lusso raro che rende le pause ancora più preziose.

Creare una “stanza silenziosa” non significa allestire un tempio, ma scegliere con cura pochi dettagli che invitano all’ascolto. È un modo per dire a sé stessi e al partner: “qui, ora, possiamo fermarci e sentire”. Lo Shibari, in questo spazio, diventa più che un gioco con corde: si trasforma in un paesaggio sensoriale in cui ogni pausa ha la sua eco.

Conclusione – La qualità dell’attenzione

I silenzi e le pause nello Shibari non sono spazi vuoti: sono i luoghi in cui la relazione respira. Ogni fermata, ogni sospensione, ogni momento senza parole è un invito ad ascoltare più a fondo. È lì che il corpo parla, che il respiro diventa linguaggio, che la fiducia si costruisce passo dopo passo.

Parlare di silenzio significa parlare di attenzione. Attenzione al partner, ai segnali che emergono, al contesto che ci circonda. Attenzione al proprio corpo e alle proprie emozioni, che nel vuoto trovano lo spazio per manifestarsi senza filtri.

In un mondo che corre, riempito di rumori e di stimoli, scegliere di valorizzare il silenzio nello Shibari è un atto rivoluzionario. Significa ricordarsi che non serve sempre aggiungere, fare, dire: a volte basta fermarsi e ascoltare.

I silenzi dello Shibari ci insegnano che il piacere non nasce solo dall’azione, ma dalla qualità con cui viviamo ogni gesto. Sono la prova che non sono le corde, da sole, a creare il legame: è l’attenzione con cui le usiamo, e la profondità con cui sappiamo sostare negli spazi vuoti.

“E così, fuori dalle parole e dai suoni, i silenzi dello Shibari rivelano il loro vero volto: il luogo in cui il piacere diventa attenzione, e l’attenzione diventa legame.”

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