Il Blog del Dojo

l’arte invisibile di credere nell’altro.

Dal legame originario al BDSM consapevole: una guida emotiva, filosofica e pratica per capire, coltivare e proteggere la fiducia nelle relazioni.

Che cos’è la fiducia?

La fiducia è definita come “sensazione di sicurezza basata sulla speranza o sulla stima riposta in qualcuno o qualcosa”
In termini pratici, significa affidarsi a un’altra persona sperando o credendo che si comporterà in modo responsabile e rispettoso nei nostri confronti.
Questa definizione ci guida nel comprendere appieno che la fiducia non è semplice ingenuità, né un atto passivo. È una scelta consapevole che presuppone la volontà di diventare vulnerabili, confidando che l’altro agirà con coerenza. Dare fiducia significa permettere a qualcuno di toccare una parte del nostro benessere emotivo, mettendolo alla prova tanto quanto noi siamo disposti a esporsi.
Fin dalle prime fasi della vita, impariamo a fidarci. Erik Erikson ha descritto questo processo come lo sviluppo della cosiddetta “fiducia di base” nei confronti del mondo. Quando un neonato piange e riceve cure costanti, percepisce la risposta come conferma che il mondo è un luogo sicuro. Crescendo, quella sicurezza originaria diventa la base su cui affidarsi ad altre persone e situazioni, trasformando l’incertezza in relazione autentica .

Introduzione – Che cos’è la fiducia

La fiducia è un atto, un sentimento e una scelta. È ciò che ci permette di affidarci a qualcuno o a qualcosa con la convinzione – spesso implicita – che non ci farà del male. Nella definizione lessicale, la fiducia è “l’affidamento che si ripone nelle qualità, nelle capacità o nella rettitudine di qualcuno o qualcosa”; ma questa spiegazione tecnica non basta a coglierne il peso emotivo, relazionale e culturale.

Fidarsi significa esporsi. È un’apertura verso l’altro che comporta un rischio calcolato: quello di essere accolti oppure delusi. Ed è proprio questa esposizione che rende la fiducia tanto preziosa quanto fragile. Non si dà a chiunque, e non si concede alla leggera. Eppure, senza fiducia non possiamo vivere davvero. Ogni relazione – familiare, affettiva, sessuale, lavorativa – si fonda su un tessuto invisibile di aspettative e promesse che chiamiamo “fiducia”.
Tutti noi abbiamo concesso fiducia. E tutti, prima o poi, abbiamo tradito o subito un tradimento. Succede perché la fiducia non è solo una qualità dell’altro, ma anche uno specchio delle nostre paure, dei nostri modelli interiori e delle esperienze che ci hanno segnato. È al tempo stesso istinto e costruzione. Alcuni la danno troppo in fretta, altri non riescono più a darla. Alcuni la mantengono nonostante tutto, altri la ritirano al primo segnale.

Per capire davvero cosa significa fidarsi – e cosa comporta perdere o ricostruire fiducia – serve uno sguardo ampio. In questo articolo esploreremo il concetto di fiducia dal punto di vista etimologico, filosofico, psicologico ed esperienziale. Ci addentreremo nelle sue declinazioni nella vita quotidiana, nelle relazioni romantiche, nella sessualità e infine nel BDSM, dove il gioco tra controllo e abbandono porta la fiducia a un livello radicale.
Solo quando comprendiamo quanto la fiducia sia centrale per la nostra salute emotiva e le nostre connessioni con l’altro, possiamo imparare a coltivarla con consapevolezza. Perché fidarsi, in fondo, è una delle scelte più rivoluzionarie e coraggiose che possiamo fare.

Etimologia della fiducia



La parola “fiducia” deriva dal latino fides, termine che significa fede, lealtà, affidamento. La radice indoeuropea bheidh- rimanda a un’idea ancora più antica e profonda: quella del legame, dell’essere persuasi o convinti. Non si tratta solo di un sentimento positivo, ma di una struttura portante delle relazioni: fidarsi significa creare un ponte tra sé e l’altro, un affidamento che nasce dalla convinzione – razionale o emotiva – che l’altro sia degno di cura, attenzione o protezione.

In latino, fides era un concetto centrale nella vita pubblica e privata. Era la virtù che regolava i patti, la parola data, le alleanze. Fidarsi non era un fatto privato, ma un vincolo che aveva valore giuridico, sociale e spirituale. Ancora oggi, nei linguaggi giuridici e religiosi, la parola conserva questa forza originaria: si dà fiducia a un testimone, si presta fede a una dichiarazione, si ha fede in una persona o in un principio.

Questa origine ci dice che la fiducia non nasce dal nulla e non è mai neutra. È sempre un atto situato in un contesto, che implica esposizione e aspettativa. Ci si fida perché si vuole costruire qualcosa – una relazione, un progetto, un futuro condiviso. E si può essere traditi proprio perché si è costruito quel legame.

Comprendere l’etimologia non serve solo a fare storia delle parole, ma a cogliere che fidarsi è un gesto attivo, non un semplice sentimento. È una scelta che comporta responsabilità, sia per chi la concede sia per chi la riceve.

La fiducia nella storia del pensiero

Nel corso dei secoli, la fiducia è stata pensata, definita e interpretata da filosofi, teologi e sociologi come una delle basi invisibili della convivenza umana. Non è mai stata solo una questione individuale, ma un meccanismo sociale fondamentale per ridurre l’incertezza, gestire i conflitti e costruire cooperazione.
Per i filosofi greci, la fiducia era implicita nei legami virtuosi. Aristotele, nella sua riflessione sull’amicizia (philia), vedeva la fiducia come una conseguenza del riconoscimento reciproco del bene. Solo chi agisce con virtù può essere considerato degno di fiducia. Non era quindi una disposizione cieca, ma un risultato dell’etica condivisa.
In epoca moderna, il pensiero politico ha spostato l’attenzione sulla fiducia come fondamento del contratto sociale. Thomas Hobbes descrive un’umanità guidata dalla paura e dalla sfiducia reciproca. Da qui, la necessità dello Stato come garante dell’ordine. John Locke, al contrario, vede nella fiducia un elemento naturale, che rende possibile la cooperazione e la costruzione delle istituzioni. Per lui, un governo è legittimo solo finché conserva la fiducia dei suoi cittadini.
Nel Novecento, il concetto viene ulteriormente articolato. Georg Simmel introduce la fiducia come un ponte tra sapere e ignoranza: ci fidiamo quando agiamo nonostante non possiamo sapere tutto. Niklas Luhmann, sociologo tedesco, la definisce come una “riduzione della complessità”. Viviamo in un mondo che non possiamo controllare: fidarsi è la strategia che ci consente di agire senza paralizzarci. Secondo Luhmann, la fiducia non elimina il rischio, ma lo rende affrontabile.
Queste visioni diverse mostrano che fidarsi non è solo un atto emotivo o spontaneo, ma un’azione profondamente culturale e situata. Ogni società decide a chi si può dare fiducia, come si merita, come si perde. E ogni essere umano si muove dentro queste cornici, portando con sé la propria storia di attese, delusioni e conferme.

Come impariamo a fidarci

La fiducia non nasce dal nulla. È una costruzione progressiva, che comincia nei primi atti della vita e continua a modellarsi lungo tutte le esperienze relazionali. Fidarsi non è solo un comportamento appreso, ma una disposizione che intreccia biologia, attaccamento, educazione e cultura.

Secondo Erik Erikson, psicologo dello sviluppo, il primo compito evolutivo del neonato è proprio la costruzione di una fiducia di base. Quando i bisogni primari – fame, protezione, consolazione – vengono accolti da un adulto presente e coerente, il bambino sviluppa l’idea che il mondo è affidabile. Questa sensazione originaria diventa il primo mattone della fiducia interpersonale. Se invece le risposte dell’ambiente sono assenti, imprevedibili o incoerenti, il neonato può interiorizzare un modello di sfiducia che influenzerà profondamente le sue relazioni future.

Con la crescita, la fiducia si evolve. Nella prima infanzia, il bambino comincia a esplorare l’ambiente circostante. Se può contare su un adulto che lo sostiene e lo protegge senza impedirgli di sperimentare, sviluppa un senso di sicurezza che rafforza l’autonomia. Durante la scuola, le relazioni con i coetanei e le figure educative introducono nuovi elementi: reciprocità, affidabilità, lealtà. Il bambino impara che fidarsi richiede tempo, coerenza tra ciò che si dice e ciò che si fa, ascolto e rispetto.

In adolescenza, la fiducia diventa una scelta consapevole. Emergono le prime relazioni intime e sentimentali, in cui esporsi diventa più complesso. I modelli appresi in precedenza influenzano la capacità di affidarsi, così come la fiducia in sé stessi – cioè la convinzione di valere, di essere degni di rispetto, di saper affrontare le sfide. La fiducia diventa qui un atto volontario, più che un riflesso automatico.

Nell’età adulta, infine, la fiducia si integra con la memoria del passato. Ogni nuova relazione viene valutata alla luce di esperienze precedenti, in un equilibrio costante tra desiderio di connessione e bisogno di protezione. La buona notizia è che, anche in presenza di ferite o delusioni, la fiducia può essere riappresa. Relazioni sane, riflessione emotiva, esperienze correttive possono modificare i modelli interni e permettere nuove aperture.

Imparare a fidarsi è dunque un cammino. Non garantito, non lineare, ma possibile. E, soprattutto, non dipende solo dagli altri, ma anche da come decidiamo di rispondere a ciò che ci accade.

Come dare o ricevere fiducia

Dare fiducia è un atto di apertura, riceverla è una forma di riconoscimento. Ma nessuna delle due è automatica. Entrambe richiedono presenza, onestà e coerenza. Fidarsi, come farsi fidare, è un processo: non si dichiara, si costruisce.
Per dare fiducia, serve tempo. Serve osservare l’altro, cogliere se le parole corrispondono ai gesti, se c’è rispetto per i limiti, se esiste la capacità di assumersi la responsabilità di un errore. Fidarsi non significa affidarsi ciecamente, ma decidere di investire emotivamente in qualcuno riconoscendone l’affidabilità. In questo senso, è più un gesto consapevole che una scommessa ingenua.
Ricevere fiducia, invece, implica l’impegno a essere coerenti, presenti, autentici. Ogni volta che rispondiamo con attenzione a una richiesta, che manteniamo una promessa, che rispettiamo una vulnerabilità, stiamo nutrendo quella fiducia. E se vogliamo che cresca, dobbiamo proteggerla, non darla per scontata.
Le relazioni durature si costruiscono così: attraverso una complicità quotidiana fatta di piccoli gesti significativi. La fiducia si sedimenta nei dettagli, e si dissolve con la stessa facilità se tradita o trascurata.
In una relazione affettiva, amicale o professionale, quando la fiducia vacilla, la prima risorsa non è il controllo ma il dialogo. Parlare, nominare ciò che si è incrinato, permette di ricostruire un ponte. Senza parole, senza ascolto, le crepe diventano voragini. La sfiducia cresce nel silenzio.
Anche qui la regola è semplice e potente: se qualcosa manca, il primo passo è nominarlo. Solo così possiamo capire cosa non funziona, e se è possibile rimediare.

Fiducia in sé e fiducia negli altri: un equilibrio dinamico

Fidarsi degli altri è spesso legato, in modo sottile ma profondo, alla fiducia che abbiamo in noi stessə. Chi crede di valere, di meritare rispetto, di saper affrontare le proprie emozioni con lucidità e dignità, ha più probabilità di costruire relazioni basate su una fiducia reale e non dipendente dal bisogno di approvazione. Al contrario, chi ha una scarsa fiducia in sé può oscillare tra il concedere tutto troppo in fretta e il non fidarsi mai, temendo sempre di non essere abbastanza o di essere facilmente delusə.
Fidarsi di sé significa riconoscere i propri segnali di allarme, ascoltare il proprio intuito, sapere dire di no, ma anche concedersi la possibilità di provare, fallire, ricominciare. È una competenza emotiva che si costruisce nel tempo, attraverso l’esperienza, il confronto e – quando serve – percorsi di consapevolezza o di supporto terapeutico. In definitiva, la fiducia in sé non è autosufficienza, ma centratura: è la base sicura da cui possiamo scegliere, ogni volta, a chi affidarci davvero.

La finta fiducia e l’apparenza


Nella nostra società, la fiducia non è solo un legame tra individui: è anche un marcatore sociale. Appariamo degni di fiducia prima ancora di esserlo. E spesso questo genera cortocircuiti emotivi e relazionali.
Concediamo fiducia a chi ci somiglia, a chi ci rassicura per appartenenza, per estetica, per carisma. Ma non sempre chi appare affidabile lo è davvero. Anzi, a volte le persone che meglio sanno gestire l’immagine sono proprio quelle più abili nel manipolare il senso di sicurezza altrui. La finta fiducia è una trappola insidiosa: ci porta a sospendere il giudizio critico per sentirci parte, accettati, al sicuro.
Questo accade nelle dinamiche di gruppo, nei fandom, nei contesti familiari o professionali. Quando temiamo di perdere l’appartenenza o di essere esclusi, tendiamo a zittire i dubbi. E così restiamo intrappolati in rapporti in cui la fiducia è solo un’apparenza, un riflesso, non una realtà.
Imparare a distinguere tra ciò che rassicura e ciò che è realmente affidabile è un atto di maturità emotiva. Con l’esperienza, dovremmo affinare la nostra capacità di selezionare le persone di cui fidarci non in base all’impressione, ma alla coerenza. Non a chi dice di esserci, ma a chi c’è davvero. Non a chi parla bene, ma a chi agisce con rispetto.
Per farlo servono ascolto interiore, tempo, e la libertà di dire no. Dare fiducia non significa uniformarsi alle aspettative del gruppo, ma scegliere consapevolmente chi merita il nostro spazio emotivo.

Quando la fiducia è mal riposta – il trauma della menzogna

Essere traditi da chi abbiamo scelto di fidarci è una ferita profonda. Non è solo la delusione verso l’altro a fare male, ma il senso di smarrimento che nasce quando il nostro investimento emotivo viene smentito. Ogni menzogna significativa infrange un patto invisibile: quello che ci aspettavamo fosse un terreno sicuro si rivela instabile, e ci costringe a rimettere in discussione tanto l’altro quanto noi stessi.
Il tradimento non è solo un’azione esterna. È un terremoto interno. Fa crollare l’immagine che avevamo dell’altro, ma anche quella che avevamo di noi nel rapporto. Da qui nascono domande difficili: “Come ho potuto non vedere?”, “Mi sono illusə?”, “È colpa mia se mi sono fidatə?”.
A livello psicologico, si parla spesso di micro-trauma relazionale: il danno non è solo nel gesto, ma nella perdita di orientamento. Ci sentiamo vulnerabili, magari ridicoli, oppure iniziamo a dubitare di ogni cosa. In alcuni casi, la reazione è la chiusura emotiva o una diffidenza diffusa. In altri, la ferita si sedimenta come vergogna.
Ma la reazione al tradimento non è uguale per tutti. Conta la nostra storia, il nostro stile di attaccamento, il contesto e le intenzioni di chi ha mentito. Una bugia nata per paura non ha lo stesso peso di una manipolazione reiterata. E chi ha vissuto già altri abbandoni o manipolazioni, sarà naturalmente più sensibile e più espostə al dolore.
Ristabilire fiducia non è impossibile, ma non è mai automatico. Serve tempo, cura, costanza. Serve che l’altra persona dimostri con i fatti di voler riparare. Ma serve anche che chi è stato ferito faccia un proprio percorso: distinguere tra sfiducia come forma di protezione e sfiducia come forma di chiusura. Accettare il dolore, senza farsene definire.
Fidarsi è sempre un rischio, ma vivere senza fiducia è un rischio ancora più grande. Non siamo deboli perché ci siamo fidati. Siamo umani. E la vera forza, dopo un tradimento, è imparare a scegliere di nuovo – con più consapevolezza, senza perdere la capacità di aprirsi al mondo.

Il bisogno di fiducia – perché è essenziale e come possiamo ricostruirla

La fiducia è una necessità umana fondamentale. Senza di essa, le relazioni diventano fredde, la cooperazione si blocca, e il mondo appare minaccioso. Non è solo un’emozione, è un meccanismo evolutivo che ci consente di vivere in società, di affidarci, di amarci, di cooperare.
Esporsi comporta sempre un rischio. Ma vivere nella chiusura e nella diffidenza è un costo più alto: ci isola, irrigidisce, ci priva della possibilità di costruire connessioni profonde. Fidarsi non è sinonimo di ingenuità: è la consapevolezza che l’altro potrebbe deluderci, ma anche la scelta coraggiosa di non permettere alla paura di decidere al nostro posto.
Ricostruire fiducia dopo una ferita non è semplice. Richiede un lavoro personale di accettazione, di discernimento, di rielaborazione. È un processo, e come tale ha bisogno di tempo. La fiducia non torna da sola: si ricostruisce attraverso relazioni sane, coerenza dei gesti, ascolto autentico e un graduale recupero della propria capacità di affidarsi.
Questo processo parte da un principio: il dolore che proviamo non è una colpa. È il segnale che ci dice quanto avevamo investito emotivamente. È possibile trasformare quella ferita in un’esperienza di crescita, imparando a distinguere tra chi ci ha delusə e tutte le persone che ancora possiamo incontrare.
Per tornare a fidarsi serve anche riconoscere il proprio valore, tornare a credere nel proprio intuito, e – se necessario – affidarsi a un supporto professionale per rimettere insieme i pezzi.
La fiducia è un ponte. E quando crolla, non sempre va ricostruito con chi lo ha fatto cadere. Ma va ricostruito per sé stessi, per non perdere la possibilità di attraversare la vita in compagnia di qualcuno.

La fiducia nelle relazioni romantiche – il collante invisibile dell’intimità

In una relazione affettiva, la fiducia è ciò che rende possibile l’intimità autentica. Non si tratta soltanto di avere la certezza che l’altro non ci tradirà. È la convinzione profonda di poter essere visti e accolti per ciò che siamo, nella nostra interezza e vulnerabilità. È sapere che possiamo raccontarci senza paura, essere ascoltati senza giudizio, chiedere senza vergogna.

Quando la fiducia è presente, le relazioni crescono su una base solida. Diventa più semplice affrontare i conflitti, attraversare le difficoltà, desiderarsi anche nelle imperfezioni. La comunicazione diventa più fluida, il corpo più rilassato, la connessione più profonda.

Ma questa fiducia non nasce da sola. Si costruisce nel tempo, attraverso coerenza, ascolto, presenza, rispetto. Ogni promessa mantenuta, ogni silenzio rispettato, ogni limite non oltrepassato, sono mattoni che contribuiscono a costruire un senso di sicurezza reciproca.

Quando però questa fiducia viene tradita – con un inganno, un’assenza, una violazione emotiva – il dolore non riguarda solo il gesto. È la rottura del senso di protezione, la caduta di un equilibrio. Il partner, un tempo rifugio, può diventare minaccia. E allora subentrano il sospetto, il controllo, la distanza, il bisogno di difendersi.

Ricostruire fiducia in amore non è questione di scuse né di tempo soltanto. Serve assunzione di responsabilità, capacità di ascoltare davvero il dolore altrui, e la volontà concreta di agire in modo diverso. Non sempre è possibile. Ma quando entrambi lo desiderano davvero, e ci lavorano con cura, il legame può non solo ritornare: può trasformarsi in qualcosa di ancora più profondo.

La fiducia, in amore, non è mai scontata. Va curata come si curano le cose preziose: con attenzione costante, e con la consapevolezza che basta poco per incrinarla, ma molto per farla brillare.

La fiducia nella sessualità – educazione, consenso e intimità consapevole

La sessualità è uno degli ambiti più delicati in cui la fiducia entra in gioco. Non si tratta solo di corpi che si incontrano, ma di persone che si espongono, si rivelano, si mettono in relazione con la propria vulnerabilità. Per questo, fidarsi – e sentirsi degni di fiducia – è una condizione essenziale per vivere la sessualità in modo sereno, consapevole e rispettoso.

Tutto inizia con l’educazione. Quando una persona cresce in un contesto dove il corpo, il piacere, le emozioni e il consenso sono trattati con pudore, paura o giudizio, è difficile che sviluppi un rapporto sano con la propria sessualità. Al contrario, un’educazione basata sulla conoscenza, sull’ascolto e sulla libertà di espressione aiuta a costruire una fiducia di base: nel proprio corpo, nelle proprie sensazioni, nei propri desideri.
Fidarsi, in ambito sessuale, significa sapere che si può dire sì, ma anche no. Che si verrà ascoltati, rispettati, accolti. È vero in una relazione duratura, ma anche in un incontro occasionale. Senza fiducia, ogni gesto può diventare opaco, ogni contatto può trasformarsi in confusione, disagio o rifiuto.
Le esperienze negative – traumi, abusi, mancanza di rispetto – possono incrinare questa fiducia. Ma anche in questi casi, è possibile ricostruirla. Serve tempo, cura, pazienza. Serve soprattutto la possibilità di vivere esperienze diverse, in cui il consenso è reale, la comunicazione è aperta, la presenza dell’altro è gentile e attenta.
Quando c’è fiducia, la sessualità diventa uno spazio autentico. Non è più solo desiderio da soddisfare, ma esperienza da vivere. Un luogo in cui essere interi, dove anche la fragilità ha valore. Un luogo in cui scoprire sé stessi attraverso l’incontro con l’altro.

La fiducia nel BDSM – controllo, consenso e vulnerabilità consapevole

Nel BDSM, la fiducia non è solo importante: è la condizione senza la quale nulla ha senso o può funzionare in modo sano. Chi osserva dall’esterno può pensare che dominazione e sottomissione implichino un rapporto di forza unidirezionale, ma la realtà è l’opposto. Nessun gioco di potere può esistere senza un accordo profondo e una fiducia radicale.

Affidarsi nel BDSM significa sapere che ogni azione avverrà entro limiti chiari e condivisi, che ogni gesto è stato negoziato, che l’altro è presente, responsabile, capace di ascoltare prima, durante e dopo. Questo vale tanto per chi domina quanto per chi si sottomette.

Nel gioco dei ruoli, la fiducia si esprime attraverso strumenti precisi: parole di sicurezza per interrompere l’azione se necessario, momenti di confronto prima e dopo la scena, pratiche rituali che rinsaldano la connessione. Ma oltre le tecniche, c’è una componente più profonda: il riconoscimento dell’altro come essere vulnerabile e intero, mai come oggetto.

In molti casi, il BDSM diventa un luogo di guarigione. Chi ha vissuto esperienze di sopraffazione o trauma può ritrovare senso di controllo, agency e libertà attraverso pratiche consensuali e strutturate. Ma proprio per questo motivo, chi guida – e chi si affida – deve avere maturità, empatia e un’etica del prendersi cura che non si improvvisa.

Fidarsi, nel BDSM, è lasciarsi andare sapendo di essere ascoltati. È attraversare il confine della paura con la consapevolezza che si può tornare indietro in ogni momento. È sapere che si può giocare con l’ombra, ma solo perché la luce è ben salda. Per questo, chi vive il BDSM in modo consapevole sa che fidarsi davvero è forse il più grande atto di libertà e amore.

Conclusione – La fiducia come filo invisibile dell’esperienza umana

La fiducia non è un gesto spontaneo, né un sentimento istintivo. È una costruzione lenta, stratificata, fatta di esperienze, ferite, riparazioni, comprensioni. È ciò che ci consente di aprirci all’altro senza perdere noi stessə, di essere vulnerabili senza paura di essere annientati, di condividere potere, piacere, dolore e intimità in ogni tipo di relazione.

In famiglia, tra amicə, in amore, nel sesso e nel BDSM, la fiducia resta il filo invisibile che tiene insieme la nostra identità e i nostri legami. Non si può amare senza fidarsi, non si può crescere senza affidarsi, non si può godere pienamente senza sapere di essere ascoltati, rispettati, accolti.

Essere degni di fiducia e capaci di fidarsi è una delle forme più alte di maturità emotiva. In un mondo che ci spinge a proteggerci, controllare e chiuderci, scegliere la fiducia è un atto rivoluzionario. Non ingenuo, ma consapevole. Non cieco, ma lucido. Perché fidarsi non significa non vedere i rischi: significa accettarli, e viverli con presenza, responsabilità e libertà.

Box di sintesi – Cosa ci insegna la fiducia

La fiducia è un legame psico-emotivo che permette di affrontare l’incertezza, aprirsi all’altro e costruire relazioni significative. Nasce nei primi legami della vita, si trasforma con l’esperienza e accompagna ogni fase dello sviluppo umano. Fidarsi significa scegliere consapevolmente di aprirsi al rischio dell’altro, ma anche nutrire la possibilità di intimità autentica, cooperazione e crescita.

Quando viene tradita, la fiducia può essere ferita, ma non necessariamente distrutta: può essere ricostruita attraverso tempo, coerenza e consapevolezza. In ambito romantico e sessuale, la fiducia crea lo spazio sicuro dove comunicare bisogni, desideri e limiti. Nel BDSM diventa un requisito imprescindibile, fondato su consenso, comunicazione e cura.

Coltivare la fiducia, nella vita quotidiana come nelle relazioni intime, richiede presenza. Conviene prendersi il tempo per ascoltare veramente l’altro, fare attenzione alla coerenza tra ciò che si dice e ciò che si fa, osservare come ci si sente dopo aver condiviso qualcosa di vulnerabile. Iniziare da piccoli gesti quotidiani, come mantenere una promessa, chiedere scusa sinceramente o essere disponibili nei momenti difficili, può fare molto. È utile anche imparare a dire con chiarezza quando qualcosa non funziona, senza paura di essere giudicati o di perdere l’altro. E, nei momenti in cui la fiducia vacilla, può essere prezioso prendersi una pausa per riconnettersi a sé stessi prima di decidere se ricostruire o lasciar andare.

Saper dare fiducia, saperla ricevere e proteggerla è una competenza relazionale che si affina con il tempo, la riflessione e l’esperienza. In un mondo che tende a svalutare la vulnerabilità, la fiducia resta un atto radicale di libertà e umanità.

Un semplice esercizio per rafforzare la fiducia in sé stessi

La fiducia in sé stessi (autostima) si può allenare con piccole pratiche quotidiane. Uno degli esercizi più efficaci e accessibili è tenere un diario dei successi personali. In pratica, si annotano regolarmente le proprie piccole vittorie quotidiane: questa abitudine aiuta a riconoscere i propri successi e a valorizzare le esperienze positive, rafforzando l’autostima e migliorando la percezione di sé. In ambito educativo e terapeutico, celebrare anche i traguardi minori alimenta un ciclo positivo di fiducia nelle proprie capacità. Di seguito vediamo come svolgere questo esercizio passo per passo in modo semplice.

Come praticare il diario dei successi

Preparazione: Scegli un quaderno o un diario dedicato a questo esercizio. Tienilo sul comodino o in un luogo ben visibile, così ti ricorderai di usarlo ogni giorno. Anche un’app di note sul telefono può andare bene, ma scrivere a mano aiuta la riflessione personale.

Rifletti sulla giornata: Ogni sera, ritagliati qualche minuto in tranquillità e ripensa alla tua giornata. Identifica almeno tre cose positive che hai fatto bene durante il giorno, anche se sono piccole azioni o eventi quotidiani. Possono essere risultati raggiunti, problemi risolti o gesti di cui sei fiero – l’importante è che ti abbiano fatto sentire competente o soddisfatto di te. Ad esempio: “ho portato a termine quel compito difficile al lavoro”, oppure “ho fatto una passeggiata di 20 minuti nonostante la pigrizia”. Anche un piccolo passo avanti conta. Se fatto con costanza, questo semplice esercizio serale ti aiuterà gradualmente ad aumentare la fiducia in te stesso.

Annota successi e qualità: Nel diario, descrivi le tre esperienze positive individuate. Accanto a ciascuna voce, indica quale tua qualità o abilità hai messo in gioco in quella situazione. Ad esempio, potresti scrivere: “Ho aiutato un collega a risolvere un problema – qualità dimostrata: capacità di ascolto e problem solving”. Oppure: “Ho corso 2 km questa mattina – qualità dimostrata: determinazione”. Questo passaggio stimola la consapevolezza di sé, perché ti spinge a riconoscere concretamente i tuoi punti di forza. In altre parole, non ti limiti a registrare cosa hai fatto, ma anche come ci sei riuscito e quali risorse interiori hai utilizzato. (Se una sera fai fatica a trovare tre successi, cerca almeno un aspetto positivo della giornata o qualcosa di buono che hai fatto, anche minimo. L’importante è iniziare a focalizzarti sul positivo anziché sulle mancanze.)

Celebra i tuoi traguardi: Dopo aver scritto, rileggi ciò che hai annotato e prenditi un momento per celebrare mentalmente queste piccole vittorie. Può bastare un sorriso, un respiro profondo o anche dirsi mentalmente “Bravo, ce l’ho fatta!”. Riconoscere e apprezzare i risultati ottenuti – anche i più piccoli – è fondamentale: ogni volta che raggiungi un obiettivo è importante riconoscerlo e celebrarlo. Questo rafforza l’associazione tra le tue azioni positive e la tua immagine di te, alimentando un senso di autoefficacia. In pratica ti alleni a dire a te stesso: “Ho affrontato questa situazione, quindi sono capace”. Col tempo, questo rinforzo positivo migliora la relazione con la tua immagine personale, perché inizi a percepirti come una persona di valore che merita i propri successi.

Consiglio: conserva il tuo diario e rileggilo nei momenti in cui ti senti giù o dubiti di te stesso. Vedere nero su bianco tutte le conquiste – piccole e grandi – che hai ottenuto può fungere da promemoria incoraggiante quando l’autostima vacilla. Quando attraversi un momento difficile, sfogliare quelle pagine ti ricorderà quanta strada hai già fatto e ti darà la motivazione per proseguire con fiducia. In questo modo il diario dei successi diventa non solo un esercizio quotidiano, ma anche uno strumento a cui attingere per ritrovare forza interiore quando ne hai più bisogno.

In sintesi, il diario dei successi è un esercizio semplice ma potente per sviluppare fiducia in sé stessi. Stimola la consapevolezza di sé (perché rifletti sulle tue esperienze), promuove un senso di autoefficacia (perché vedi quanto sei capace, passo dopo passo) e migliora la relazione con la propria immagine (perché impari a riconoscere il tuo valore). Integrato in un articolo divulgativo sulla fiducia, può offrire ai lettori uno strumento pratico immediatamente utilizzabile per coltivare giorno dopo giorno una maggiore autostima e sicurezza personale. Le ricerche e l’esperienza clinica confermano che riconoscere i propri successi e punti di forza è una strategia efficace per migliorare la fiducia in sé – e questo esercizio lo traduce in una routine concreta, educativa e alla portata di tutti.

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